9.3.12

I limoni


Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest'odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d'intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità. 


Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rurnorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
Eugenio Montale

7.3.12

Spigoli


È successo a 18 anni.
L’ultimo anno delle superiori. Scegliere l’università. Quasi tutti vanno nella stessa, è prestigiosa, vicina, ci vanno gli altri e così ci si vedrà ancora. Anch’io ci vorrei andare. Io da sempre senza migliori amiche, timida a volte scambiata per snob, con un piccolo animale selvatico che mi vive dentro e che si trasmette, non visto, come eredità familiare di storie dolorose troppo vecchie ma evidentemente non ancora abbastanza sbiadite, una bestiolina curiosa di interazioni ma conscia di essere quella debole e di voler sopravvivere, così facile da spaventare, fai un movimento brusco e sparisce nel bosco, non la vedrai più. Io che ostinatamente cerco e frequento qualche bolla felice in cui guardo incredula le persone prendersi cura, con assoluta naturalezza, le une delle altre, al meglio delle loro possibilità o almeno in buona fede, e cerco di imitarli. Ma non sono gruppi totalizzanti - che rifuggo: non mi proteggono dall’esterno, mi concedono una pausa di qualche ora ma il resto della vita è un problema mio, com’è giusto. E io nel mondo normale raramente riesco a bucare la buccia mia e altrui, e se succede finalmente ci si parla e ci si capisce un po’ e ci si dice a vicenda ah guarda, davvero non avevo capito niente di te, ti credevo predatore ma eri anche tu come me.
 
Io che non ho mai davvero legato con nessuno, ho improvvisamente paura di perdere quelle persone, che nonostante le bucce avevo sentito un po’ più vicine dei classmates delle elementari e medie. Quelli mi avevano rifilato anni soffocanti, sopportati supportando chi era colpevole di una qualsiasi diversità e incapace di difendersi perché ancora meno aggressivo di me. Credo succeda lo stesso a parecchie persone. Qualcuno si era permesso di mettere una pubblica lapide sulla mia futura vita sentimentale, urlandomi in cortile “è inutile, non piacerai mai a nessuno!”. Mi accorgo che non mi ricordo più di preciso chi fosse.
 
Avevo reagito comunicando il meno possibile per tutti quegli anni, aspettando che passasse. Era passata, avevo incontrato persone vagamente più simili a me, che avevano voglia di fare qualcosa e di vedere il mondo, mi avevano concesso 5 anni di ricreazioni piuttosto solitarie o in compagnia caritatevole, questa volta con me nei panni della mendicante, ma anche molte ore passate a ridere sottovoce battagliando con navi o auto da corsa sui fogli a quadretti. Avevano anche bellamente ignorato la profezia sentimentale. E adesso so che li perderò e piango.
 
Per la prima volta piango per qualcuno, e nessuno si accorge che è la prima volta che mi succede. Non avevo pianto nemmeno per la morte del nonno, avrei voluto sentire qualcosa ma non avevo potuto sentire niente. Quando ho chiuso la mia prima ingenua storia, per un anno non ho voluto sentire canzoni d'amore, ma non ricordo di aver pianto.
 
I miei mi spronano a non lasciarmi legare, vedrai che in un anno si saranno già persi di vista, conoscerete tante altre persone, vai più lontano, in qualche posto più aperto, più umano (averne, di genitori così!). Ed è vero almeno in parte, nessun posto è perfetto ma ricordo quel primo anno come una elettrizzante sequenza di giorni pieni di vita. Ma non lo sapevo, sapevo solo la mia improvvisa inaspettata paura di perdere quelle persone. Dal momento in cui divento cosciente di quella paura mi capita di piangere altre volte. Un’assemblea d’istituto comprende Dead Man Walking e io piango per la prima volta davanti a un film.
 
Di sicuro dentro me c’è molto lavoro per riparare la crepa nella mia corazza, perché di lì stanno entrando quelle cose che mi fanno piangere. Cose piccole, non sono cose di salute quindi sono cose da niente, eppure quanti adulti non hanno mai imparato a gestire la paura di restare soli, di non essere capiti, di non riuscire a capire, e si sono semplicemente tenuti al riparo delle loro corazze.
  
E contemporaneamente.
 
Mio fratello ai primi anni nella mia stessa scuola. Gioca online con qualche amico: questi ragazzi per me sono facce intraviste nelle foto di classe e minuscoli cavalieri che corrono per lo schermo, coi loro soprannomi che li rincorrono appesi all’elmo.
 
Poi.
Uno di loro, e un tir.
 
Il motorino, la vicinanza, la turbolenza, un tentato sorpasso, chi lo sa. Andava a vedere una ragazza, andava in giro, chi lo sa. Un tir e un corpo di ragazzo, impossibile sperare.
 
Questa cosa si è infilata nella mia crepa e lo sbarramento è esploso. Sento il dolore. Lui. I suoi genitori. Amici. La ragazza che lo aspettava. Il paese. I vicini. I professori. Mio nonno. I bambini "diversi". Tutti. Tutto. Di botto sono una stazione radio sintonizzata sul canale del mondo che piange. È difficile da dire e da credere, ma per qualche giorno non riesco a smettere di piangere, dai miei occhi vorrebbe uscire tutto quello, mio o altrui, che non era uscito nei miei pochi anni. Mi dico che se esiste Dio deve conoscere tutto il dolore del mondo e mi chiedo come possa non morirne. Forse solo perché conoscerà anche tutta la gioia. Piano piano riesco a controllare la piena, ma non dimentico come si piange.
 
Adesso, se mi si trasmettono emozioni io le ricevo. Non solo tristemente! Era difficile chiudere la porta alle emozioni dolorose e lasciar voce a quelle piacevoli. Ho iniziato a comunicare con gli altri, a mostrare loro me stessa e a vedere loro. A vedere che parecchi girano corazzati. Se si può arrivare a 18 anni essendo gentili ma distaccati, riuscendo a non farsi quasi mai toccare, immagino si possa continuare per tutta la vita. A volte manca ancora naturalezza nelle mie interazioni, e tantomeno sono scomparsi i miei difetti, ma vedo da sola che molte cose sono migliorate e so che continuo a imparare. Il piccolo animale si spaventa con meno facilità. È stato morso e ha avuto conferma della sua vulnerabilità, ma ha anche visto che è sopravvissuto bene e che è, di solito, svelto a guarire. Non ho ancora mai pensato che fosse meglio prima.
 
Se potessi riporterei indietro il piccolo cavaliere che correva sullo schermo. Certo nessuno dei suoi immagina che abbia dato un colpo per cui la mia corazza è stata fatta a pezzi al punto che non ho potuto ripararla più di tanto.