31.5.12

Pezzodipane va alla ventura - 2

Van Gogh, Campo di grano sotto un cielo nuvoloso
MENTRE viaggiava verso le terre del nobile signore, Pezzodipane favoleggiava sul meraviglioso orto che avrebbe pazientemente ma alacremente creato e sulla fama che avrebbe guadagnato in quelle terre lontane.  Era stato abituato a lavorare duramente dal mattino alla sera e il padrone era soddisfatto dei suoi servigi, ma si trattava pur sempre di servigi piuttosto ordinari; questa era l'occasione per dimostrare davvero quel che valeva. Chissà, magari poi qualche nobile più nobile l'avrebbe chiamato ad occuparsi delle sue tenute, e alla fine forse un principe, o il re? Alla mensa reale le dame avrebbero chiesto chi fosse mai a coltivare verdure tanto saporite e frutti tanto profumati.
Arrivato alle terre del nobile signore ebbe solo modo di intravederlo mentre gli comunicava che avrebbe fatto base alla tenuta del dipendente maggiore: lui l'avrebbe seguito nella creazione dell'orto e gli avrebbe insegnato le arti del frutteto. Condiscendente e gentile, Pezzodipane pensò che non era quello che il nobile signore aveva chiesto ma che i nobili signori cambiano spesso idea; quanto a lui, avrebbe senz'altro tratto profitto dalle conoscenze del suo nuovo supervisore e accettò di buon grado di lavorare con lui.
Presto però gli sembrò di essersi svegliato su un incubo.
Continua...

21.5.12

Ancora sui falchi

Per la verita', Eugenio, a me il falco e' sempre stato simpatico.
Sara' che son cresciuta a pane e Quark e non ce l'ho mai avuta coi predatori - per la verita' non mi piacciono quelli a due zampe e senza ali, ma rapaci serpenti e lupi non li consideravo negativi neanche da bambina. Peccato non aver mai chiesto agli Angela di adottarmi ;)

Sara' per quelle estati nella vecchia casa dei nonni, che ha dato a noi piccoli quelle radici che i nostri genitori indipendenti avevano in parte reciso per respirare meglio. Con le montagne appena dietro, a coprirci le spalle, e la pianura davanti in cui costruirci la vita, come sempre nella nostra esperienza; e qualche falco a chiamare dal cielo sopra le nostre teste piene di pirati e avventure.

Non ti chiamava, il tuo falco, Eugenio? I nostri eccome! Li sentivamo e abbandonavamo a precipizio quel che stavamo facendo: in genere accampamenti in miniatura a misura di qualche esserino fiabesco, costruiti pazientemente, all'ombra degli alberi piantati dal nonno bambino, e capaci di durare da un'estate all'altra - dovevamo darci all'architettura e all'ingegneria naturalistica, adesso costruzioni del genere, se fatte su scala piu' ambiziosa, sono green ed environmental friendly. E correvamo allo scoperto, dove si vedeva il cielo abbagliante di sole e strizzavamo gli occhi per cercare le piccole sagome scure, alte levate, e vederle era una vittoria piena di complicita'.

E andavamo spesso in passeggiata, su quelle montagne che fanno parte di noi, del nostro respiro dei nostri passi dei nostri sogni, e i falchi chiamavano ed erano piu' vicini e ammiravamo - invidiavamo - i pochi attimi che bastavano loro per attraversare la valle su una corrente vertiginosa e poi roteare sopra la nostra meta, che sapevamo avremmo raggiunto solo dopo mezza giornata. Ma altrettanto velocemente tornavano e mio fratello piccolo con la sua voce acuta gridava forte il grido del falco anche lui; e forse il falco continuava a gridare per i fatti suoi, ma poteva anche essere che gli rispondesse. E chissa' quali improperi si dicevano in quella lingua di strida, Eugenio, ma noi eravamo tutti felici di fare le ambasciate al falco.

Non ci e' mai stato indifferente. E' sempre stato la nostra anima fatta uccello, vola incredibilmente alto e veloce e ci chiama e ci segna la meta, e noi camminavamo passo passo cercando fiori erbe farfalle lamponi sassi e conchiglie fossili, e ascoltavamo il grido, e lo seguivamo. Lo seguiamo anche adesso, quando in qualche giorno fortunato lo sentiamo gridare e subito l'istinto di quei giorni ci fa alzare gli occhi e strizzarli a cercare nel sole.

16.5.12

La scelta giusta? Non c'è.

Un momento prima era tutto normale, in quel momento posso cambiare qualcosa. Posso anche non farlo, basta tacere ancora, sviare con un altro sorriso, non raccogliere una domanda, tutto continuerà come prima. Oppure posso parlare.
Cosa scelgo, continuo per la strada che ho trovato segnata, o mi metto di traverso? Non posso non scegliere, se non faccio niente sto scegliendo la prima scelta. 
La seconda, invece, la scelta più onesta, trasparente, di chi vuole fare, cambiare, mettersi in gioco, a costo di mostrare i propri limiti, credendo che si può migliorare. E' giusta, in teoria. Allora perché l'amaro in bocca?
  

Perché qualcuno passa per cattivo, ma io non mi sento dalla parte del giusto, non ho ricette, non sono migliore di nessuno.


  
Perché qualcuno passa per buono, ma dov'era finora? E qualcuno pensa che io mi illuda che improvvisamente tutto cambi, che avrò un angelo protettore e che non le prenderò (moralmente) come e più di prima?
 
  
    
Perché a mettersi di traverso si diventa automaticamente brutti e cattivi. Non si ha ragione. E a dire il vero io non voglio averla. Vorrei solo rispetto reciproco.

  
Perché vorrei ragione per tutti e invece non ce n'è per nessuno, ecco perché.
 
Per fortuna il mondo è grande e ci sono tante altre persone con cui spendere le 8 (... 10) ore diurne e ricordarsi che è possibile essere diversi.

2.5.12

Pezzodipane va alla ventura - 1

V. Van Gogh - La Crau
C'ERA una volta un rispettabile signore di campagna. Aveva terre da cui ricavava una discreta rendita ed era abbastanza conosciuto nella sua regione. Parecchi contadini erano alle sue dipendenze ma, poiché la campagna gli piaceva molto, insisteva per supervisionare direttamente ogni nuovo lavoro che venisse intrapreso, senza paura di sporcarsi le mani.
Uno dei suoi dipendenti era particolarmente abile ed esperto; sembrava avere una conoscenza approfondita di quasi tutti gli argomenti, non solo quelli relativi al suo lavoro: aveva anche una vasta cultura. C'era perciò anche chi lo stimava più competente del suo padrone. Era alle dipendenze del nobile signore da molti anni; gli incarichi che riceveva erano diventati sempre più importanti, così come il compenso per i suoi servigi, tanto che ormai aveva assunto lui stesso uno status semi-nobiliare. Da ben 7 anni viveva in una tenuta separata, su cui aveva piantato un bel frutteto.
La tenuta apparteneva formalmente al nobile signore, ma questi vi metteva piede piuttosto raramente: era diventata perciò una specie di piccolo regno a sé. E' vero che il dipendente e il nobile signore si vedevano spesso e si scambiavano opinioni su tutte le faccende piccole e grandi che capitavano nella campagna (sembrava che nulla potesse sottrarsi alla loro attenzione), ma quando faceva un giro nella tenuta affidata al suo dipendente il nobile signore aveva la sensazione che, lì, tutto gli sfuggisse e che i lavori fossero stati, formalmente, concordati con lui, ma che lui non li capisse fino in fondo.
Un giorno il nobile signore acquistò una nuova terra su cui intendeva creare un grande orto. Cercò quindi un lavoratore che avesse già esperienza con questo tipo di coltivazione ma cerca e ricerca, chiedi e richiedi, non si trovava una persona disposta a occuparsene. Il nobile signore chiese quindi aiuto a un amico lontano e lo pregò di inviargli un contadino di fiducia, che rispondesse direttamente a lui: non voleva lasciar crescere ancora il potere del suo dipendente maggiore. L'amico parlò con i suoi orticoltori più fidati e Pezzodipane si dichiarò disposto a prendersi questo incarico, a condizione che gli venisse insegnato anche come occuparsi di un frutteto. La condizione fu accettata, perciò Pezzodipane fece fagotto e si mise in viaggio verso le terre del nobile signore.

Continua...